“La vuole una fetta di torta di mele? L’ho fatta io, con le mie mani. È buona, sa? Lo sente che profumo?”
L’ispettore Arosio si toglie il fazzolettino di carta dal naso e lo ripiega accuratamente, posandolo sul tavolo. La signora Marisa affonda il coltello nella superficie gonfia e dorata. Probabilmente ha ragione: la torta ha un buon profumo. Peccato che sia impossibile sentirlo.
“L’ho appena sfornata, sa? Lo faccio sempre quando mi succede qualcosa di brutto. Mi metto lì, con la farina, il lievito, le uova… È un sollievo, sa? Mi fa sentire meglio. Vedrà che si sentirà meglio anche lei, ispettore.”
L’ispettore Arosio prende in mano il piattino e se lo avvicina alle narici. Si sforza di percepire il profumo delle mele, dell’uvetta che affiora in superficie. Non ci riesce. L’altro odore è più forte.
“Mi scusi.” Si alza, esce sul ballatoio. C’è un agente in divisa appoggiato alla ringhiera. È Aliprandi, e sta fumando una sigaretta. Strano; l’ispettore Arosio non l’aveva mai visto fumare prima.
“Aliprandi?”
Lui fa un sobbalzo. “Dica, ispettore.”
“Tutto bene?”
“Abbastanza.” Si agita una mano davanti al naso.
L’ispettore Arosio lascia vagare lo sguardo sul cortile rettangolare. Le torna in mente un altro cortile, identico a questo. Da piccola, quando andava da Maria Laura, passavano le ore a giocare a “Un, Due, Tre, Stella!” con le altre bambine della ringhiera. Chissà dov’è adesso Maria Laura. Sono passati trent’anni.
“Di chi sono le sigarette? Di Rosselli?”
“Sì, ispettore.”
L’ispettore Arosio si volta e oltrepassa la porta spalancata lì accanto. La sagoma del cadavere è delineata sul pavimento col nastro adesivo bianco. C’è ancora una grossa macchia di sangue. L’ispettore Arosio la fissa, come ipnotizzata. Al centro della macchia c’è un minuscolo grumo biancastro. Materia cerebrale, senza dubbio. L’odore è sempre lì, implacabile.
“Rosselli?”
“Dica, ispettore.”
“Ce l’ha un’altra sigaretta?”
“Certamente.” Rosselli ha la voce nasale. La settimana scorsa è stato a casa tre giorni in malattia. Ha il raffreddore da fieno. L’ispettore Arosio prova un moto di invidia.
Prende la sigaretta dalla mano dell’agente Rosselli. “Grazie.”
“Non c’è di che, ispettore.” L’agente scuote la testa. “Da non credere, vero? Voglio dire, come fa una persona a vivere immersa nell’odore di…”
“Di merda?” L’ispettore Arosio osserva il rossore che si fa strada sulle guance dell’agente Rosselli. È giovane, è un po’ timido. “Non lo so. La vittima era anziana. Magari non lo sentiva nemmeno più.”
Si volta, esce dalla casa e rientra nell’appartamento della signora Marisa. Un aroma di caffè le sfiora le narici. È un sollievo momentaneo, ma le viene voglia di abbracciarla. “Le dispiace se fumo?”
La signora Marisa sorride. “No, no, si figuri.”
“Grazie, signora.”
La signora Marisa versa il caffè e dispone sul tavolo le tazzine e i piattini con le fette di torta. Una folata di vento smuove le tendine della finestra, spalancata davanti al sole di fine luglio. La signora Marisa trattiene il respiro e abbassa gli occhi, come se si vergognasse. Come se il tanfo fosse colpa sua. Fa un passo verso gli scuri. “Vuole che chiuda?”
“No, lasci stare. Fa troppo caldo. E poi l’odore entra lo stesso.”
“Magari il fumo lo manda via…”
L’ispettore Arosio si accende la sigaretta e beve il caffè in silenzio. Sa che è arrivato il momento delle domande, ma non ne ha nessuna voglia. Comincia dalla più banale. “Da quanto tempo conosceva la signora Franca?”
“Da più di trent’anni.” La signora Marisa si porta una mano agli occhi. “Dopo che è rimasta vedova eravamo sempre insieme.” Compare un fazzoletto. “Sa com’è, da vecchi ci si fa compagnia.”
“Ma la signora Franca aveva un figlio, giusto?”
La signora Marisa alza le spalle. “Sì, ma abita lontano, sa. Non veniva quasi mai a trovarla. Però l’affitto lo pagava lui. È stato lui a farle mettere il bagno in casa. Lei non voleva, ma lui ha insistito e alla fine l’ha avuta vinta.”
“Come mai la signora Franca non lo voleva?”
“Sa com’è, siamo vecchi. Ai nostri tempi non usava avere il bagno in casa. Voglio dire, fa un po’…” La signora Marisa abbassa gli occhi. L’ispettore Arosio è certa che la parola soppressa fosse “schifo”.
“Insomma, a me mi fa un po’ effetto il gabinetto in casa. Vicino a dove si mangia. A lei no?”
L’ispettore Arosio ha un ricordo. Maria Laura che arrivava a casa sua a giocare quando erano piccole. La prima cosa che faceva quando entrava era andare in bagno. L’ultima cosa che faceva prima di uscire era tornarci. A casa dell’ispettore Arosio c’erano due bagni: quello bello e quello di servizio. Maria Laura aveva il gabinetto sul ballatoio.
“E la signora Franca come la pensava?”
La signora Marisa fa un sorriso. “Era d’accordo con me, si capisce! Però il figlio non ha voluto ascoltarla. Hanno litigato, sa? Lui ha alzato la voce. Cosa ci vuol fare, quando si è vecchi…”
La signora Marisa dice sempre “vecchi”. Mai “anziani”. L’ispettore Arosio l’ha subito presa in simpatia. “Quindi i rapporti tra la signora Franca e suo figlio non erano buoni?”
La signora Marisa fa un salto sulla sedia. “No no, per carità, non è che litigavano sempre! Quella lì è stata l’unica volta che li ho sentiti. Se no di solito lui quando veniva la portava al ristorante.”
“E dopo la discussione sul bagno? Andavano ancora d’accordo?”
“Credo di sì. Anche se devo dire che dopo che l’hanno messo lui non è venuto più.”
“Quando sono finiti i lavori?”
La signora Marisa comincia a contare sulla punta delle dita. Le sue labbra si muovono appena, come se stesse recitando il rosario. “Saranno sei mesi, o poco più.”
“E all’inizio il bagno funzionava?”
La signora Marisa ride. “Macché. Quei cosi lì non funzionano mica, sa? Com’è che si chiamano… Sanitrin, Sanitrit… Non mi ricordo più. Era un disastro. Ogni tre per due si ingorgava. Una puzza che non le dico. Si sentiva in tutta la ringhiera.”
“Come adesso?”
“Eh, sì. Proprio come adesso.”
“Ma la signora non ha chiamato l’idraulico?”
“Certo che l’ha chiamato. Tante volte. Lui le diceva sempre che non doveva buttare i capelli nel lavabo.”
“I capelli?”
“Ma sì. Sa, la Franca… Ma lei l’ha vista, no?”
L’ispettore Arosio ingoia l’ultimo sorso di caffè. Spegne la sigaretta. “Sì, l’ho vista.”
La signora Marisa tira di nuovo fuori il fazzoletto. “Mi scusi.” Si asciuga gli occhi. “Vede, la Franca aveva i capelli bellissimi. Lunghi, forti, mica come questi quattro peli che ho in testa io.” Si tocca la nuca. La mano sfiora con delicatezza la lanugine viola che la ricopre. L’ispettore Arosio si chiede chi sia stato il cane che le ha fatto la tintura.
La signora Marisa finisce di rassettarsi i capelli. “La Franca invece li aveva proprio belli. Erano bianchissimi, e lei non li tagliava. Li portava raccolti dietro la nuca e non se li tingeva. Andava a letto con la retina. Tutte le mattine li scioglieva e li spazzolava. Per cui si immagini: capelli dappertutto.”
“E l’idraulico diceva che intasavano lo scarico?”
“Eh, sì. Il Sanifrit… Sanitrill… Insomma, quel coso lì. Diceva che la Franca quando se li spazzolava doveva mettere il giornale nel lavabo, così i capelli cadevano lì e poi lei li buttava nella spazzatura. Ma le sembra una cosa normale? Come si fa a mettere il giornale nel lavabo? Quando bagni la spazzola l’acqua va sulla carta e viene fuori un paciugo… Non si può mica.”
L’ispettore Arosio si tocca i capelli. Corti, neri, un po’ ispidi. Si sforza di immaginare se stessa nell’atto di spazzolarsi una lunga chioma bianca. Non ci riesce. “Quindi lo scarico si bloccava.”
“Eh, sì. Era un continuo. I vicini si lamentavano. Ma cosa poteva fare la Franca?”
“C’è stata qualche lite tra la signora Franca e i vicini?”
La signora Marisa fa un altro salto sulla sedia. “Lite? Ma no, si figuri! Qui non si litiga mai. Andiamo tutti d’amore e d’accordo. Sa com’è, ci conosciamo da tanti anni.”
L’ispettore Arosio sa che deve insistere. È evidente che la signora Marisa ha paura di far cadere i sospetti su qualcuno. Magari su di sé. “Signora, lei ha detto che i vicini si lamentavano per la puzza. Ci sarà stata per forza qualche discussione.”
“Ma no, le assicuro… Io le dicevo di far togliere il bagno. Tanto non funzionava. Ma lei non voleva, per via del figlio.”
L’ispettore Arosio la guarda negli occhi azzurri, un po’ slavati, ancora umidi. Guarda la lanugine viola. Si sente un verme. “Signora, abbia pazienza. Stiamo cercando di capire chi ha ucciso la signora Franca. Anche il minimo indizio può esserci utile.”
“Ma come? Non lo sapete chi è stato?”
L’ispettore Arosio prova l’impulso di mettersi le mani nei capelli. Afferra il bordo del tavolo per trattenersi. “No, signora, non lo sappiamo. Perché, lei sì?”
“Ma certo che lo so. È stato il Pino, no?”
“Chi è il Pino, scusi?”
“Oh bella, ma è l’idraulico! Questo mese è venuto tre volte a sgorgarle il water. Si immagini che lavoraccio dev’essere. L’ultima volta, cinque giorni fa, mi ha bussato e mi ha chiesto un bicchiere d’acqua. Io gliel’ho dato, ma lui non mi ha nemmeno ringraziato. Era tutto bianco in faccia. Sono sicura che è stato lui. Ha anche il coso, lì… Come si chiama. Il movente. E la chiave inglese. Per spaccarle la testa.” La signora Franca si copre la bocca con una mano. “Se andate a prenderlo subito, vedete che confessa. Io glielo avevo detto, alla Franca. Non sta bene avere il bagno in casa. Porta solo guai. E infatti guardi cosa le è successo.”